SOS di MADRE TERRA

L’ SOS lanciato dalla Terra non ha precedenti, la razza umana è avvertita. Ovunque, sul Pianeta, si possono riscontrare gli effetti dei gravissimi danni provocati dall’ inquinamento. L’uomo, figlio ingrato, crudele e assassino nella sua folle smania di potere, sta uccidendo la Madre, con Essa condanna se stesso alla morte risucchiato da un vortice di fatali eventi. L’ inarrestabile corsa verso la criminale avidità presenta già un pesantissimo conto, diverse specie di animali e piante si sono estinte e molte altre sono sulla medesima strada. Il ritmo di tale processo è così veloce da essere evidente a tutti, al di là di ogni giusto grido d’allarme proveniente dagli scienziati di tutto il Mondo. Come si avvertono le conseguenze del surriscaldamento del Pianeta sulla terra ferma, così anche i mari e gli oceani sono in enorme difficoltà registrando un continuo aumento della temperatura delle acque. La presenza, fuori controllo, di plastica, ormai anche di microplastiche, e, in generale, di un gran numero di sostanze tossiche, rendono difficile ogni forma di vita. Gran parte della barriera corallina è morta ed il resto sta morendo. 
La Terra è tutta gravemente malata. 
La Natura ha il diritto di difendersi? 
E quale diritto avrebbe, invece, l’uomo di ucciderla? 
Il “Diritto Ambientale” si è evoluto a seguito della rilevazione dei danni provocati dall’azione dell’uomo affinché le norme potessero proteggere e conservare l’ambiente, ciò, però, in funzione esclusiva di quelli che sono gli interessi umani. L’uomo, “prodotto” della Natura, dispone di una serie di diritti, avanza pretese nei confronti di altri soggetti umani, dello Stato e delle cose, sicché, anche la Natura, in primis, dovrebbe poter vantare medesime pretese a tutela della propria integrità e benessere e ciò al di là del vantaggio che tale tutela possa apportare allo stesso essere umano. Una Natura titolare di diritti andrebbe a salvaguardare anche, come parte di sé, i diritti di una umanità vittima indifesa degli egoismi della propria specie. Anche da un punto di vista giuridico l’uomo e la natura dovrebbero costituire un unico corpo inscindibile. L’asse del diritto, però, è prevalentemente antropocentrico, esso, quindi, si deve portare verso un’evoluzione che consideri parametri universali, un’applicazione proiettata nello spazio, non avendo la Natura alcun confine, e nel tempo preservando la stessa Natura da ogni forma di predazione che possa mettere a repentaglio la sua sopravvivenza sia nel complesso che nella sua parte più piccola. La necessità di dover ricorrere ad una produzione normativa a protezione di certi interessi la si può riscontrare già in riferimento ad una serie di fonti che, se pur non specifiche, hanno cercato, da alcuni punti di vista, di affrontare il problema. Il PATTO delle NAZIONI UNITE sui DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI e CULTURALI del 1966 che valorizza la diversità di culture sulla Natura, la COMMISSIONE OIL del 1989 per il riconoscimento dei popoli indigeni, la DICHIARAZIONE ONU sull’autonomia dei popoli indigeni nel rispetto delle loro leggi e consuetudini diverse dal diritto occidentale. 
Al fine di poter rivendicare i Diritti della Natura, anche a prescindere dai danni, di particolare rilievo è la “LITIGATION STRATEGY”. Fra gli obiettivi quello di voler consolidare modelli di eco-compatibilita’. Così anche il CELF (Community Environmental Legal Defense Fund) offre la sua assistenza in numerose problematiche ambientali. Proprio questa “strategia di contenzioso” come strumento processuale ha individuato nel PATTO ONU del 1966 una condizione internazionale di base e, nella CARTA dei DIRITTI e dei DOVERI ECONOMICI degli STATI del 1974, i presupposti per la costituzionalizzazione dei Diritti della Natura, la sovranità dello Stato sulla Natura, beni pubblici e privati. 
La tutela dei Diritti della Natura dev’essere presupposto di ogni Stato a prescindere dalla sua forma di governo, come di ogni cultura. Sembrerebbe cosa ovvia, ma purtroppo si è ancora lontani da questo convincimento. Il Preambolo dell’Accordo di Parigi del 2015 riconosce ad “alcune culture” la soggettività di Madre Terra/Natura, riducendo, così, tale concetto a mere differenze culturali. Da ciò, quindi, non tanto assurde, purtroppo, possono apparire le dichiarazioni del giugno 2017 di uscita dall’ACCORDO di PARIGI sul CLIMA del Presidente USA (una democrazia!) Donald Trump che pone a giustificazione di tale posizione l’osservanza del mandato nei confronti dei suoi elettori. 
In verità non esiste, a livello internazionale, nessun documento chiaro e diretto che, considerando le catastrofiche conseguenze dello sfruttamento delle risorse del pianeta, condizione senza eguali nella storia, incida sull’aspetto giuridico-costituzionale. Le Costituzioni si preoccupano del deficit economico-finanziario ( per es. il pareggio di bilancio, Art. 81 Cost.It.), ma non affrontano il problema del “deficit ecologico” che né la crescita economica né la sempre più sofisticata tecnologia sono in grado di risolvere, ciò vorrebbero far credere coloro che, come Trump, intraprendono orientamenti politici tendenti a negare il surriscaldamento del pianeta. 
Compito delle Costituzioni e dei testi sovranazionali è quello di considerare le Norme a tutela degli interessi della Natura al di sopra di ogni cultura o contesto politico, in considerazione di elementi che prescindono sia dai confini nazionali che dai governi presenti. 
Il continuo sfruttamento delle fonti fossili, come risorsa energetica, porta, non solo alla non omogenea redistribuzione delle risorse stesse, a cui segue una non equa divisione delle ricchezze, ma,anche, ad un complessivo impoverimento delle popolazioni in generale. A tale fenomeno si associa il continuo, devastante disboscamento di intere parti di foreste e l’impoverimento dei terreni per l’uso indiscriminato di pesticidi. Il riscaldamento climatico globale interessa il suolo come le acque e porta a tali alterazioni degli ecosistemi da spingere ad anomale migrazioni di massa tanto gli animali quanto gli esseri umani così, l’estinzione di numerose specie viventi, non può che essere una tragica ed inevitabile conseguenza. 
L’ indebita appropriazione di Madre Natura, da parte di alcune forze di potere, totalmente prive di scrupoli, è , molto spesso, causa delle più tragiche condizioni di guerra con tutte le peggiori conseguenze per la salute a cui possono condurre poliche basate sulla continua offensiva militare e questo, persino, nelle zone c.d. di “pace” interessate, però, in qualche modo dalla guerra. 
Se il rapporto tra l’uomo e la Natura è condizione che dipende dal periodo storico, ma anche dalla cultura di un popolo, andando indietro nel tempo, al fine di meglio comprendere l’umano sentire, si può capire come già, nel lontano 1217, “La CARTA della FORESTA”, nota poi con il nome di “CARTA dell’ UOMO COMUNE”, venga considerata il primo documento costituzionale disciplinate la relazione tra “l’uomo libero” e la disponibilità di utilizzo dei “beni naturali comuni”, infatti, tutti, per diritto, potevano usufruire di ciò che la “foresta” offriva: la legna da ardere per la cottura degli alimenti e per il riscaldamento, il legname per la costruzione di abitazioni, la caccia, il pascolo per il nutrimento ed il cibo in generale. “L’uomo comune” non era il proprietario di nulla, ma poteva liberamente godere delle risorse naturali. Si può dire che il suo fosse un diritto alla vita, non certo un diritto alla proprietà, la “foresta”, infatti, nel medioevo aveva in sé, simbolicamente, tutto il necessario per vivere. All’epoca, ancora, a questi beni primari, non veniva attribuito alcun valore economico di scambio. Il presupposto della “CARTA della FORESTA” era la “LIBERTÀ” secondo un’accezione già più ampia del concetto di “Libertà” contenuto nella “MAGNA CARTA” del 1215 che contemplava i “privilegi” di cui erano titolari, rispetto al sovrano, i soli baroni e clero. Nella cultura inglese, per lungo tempo, la “FORESTA”, quindi la “NATURA”, era l’equivalente della parola “GIUSTIZIA” e “LIBERTÀ”, assolutamente priva di differenze sulla scala sociale. 
L’uomo ha vissuto per secoli in armonia e a stretto contatto con la Natura, ne conosceva i suoi cicli e li rispettava. Le differenze culturali, gli usi, i costumi, la prassi e le consuetudini dei vari popoli hanno potuto consolidare ingiustizie sociali, ma certamente non potevano portare al devastante squilibrio ambientale che invece iniziò a manifestare già i primi chiari sintomi ai tempi della c.d. “Rivoluzione Industriale” a causa dell’utilizzo di combustibili fossili. 
In tempi più recenti, nella presa di coscienza dei danni all’ecosistema, causati dall’azione predatoria dell’uomo, non è stato sicuramente un caso, considerata una certa influenza culturale in talune aree del mondo, che le prime risposte siano giunte da dispositivi normativi di paesi dell’America Latina. Il tentativo è stato quello di dare legittimità ad una serie di condizioni capaci di riconoscere i Diritti della Natura e loro tutela dinanzi ad un giudice. 
La Costituzione del Brasile del 1988 è stata la prima Carta a codificare “l’equilibrio ecologico” come premessa di esistenza presente e futura dei beni naturali. Consegue una necessaria, obbligatoria armonia tra tutti gli ecosistemi, compreso quello dell’uomo, pena la perdita sicura degli stessi diritti umani. 
Nello stesso solco “dell’equilibrio ecologico”, la LEGGE BOLIVIANA del 2010, sui DIRITTI di MADRE TERRA, vede i Diritti della Natura non tanto invocati a difesa di qualcosa o qualcuno, ma a soluzione di conflitti secondo vincoli naturali dell’ecosistema. Normative più recenti hanno poi specificato il concetto di “biodiversità” da quello di “equilibrio ecologico”. 
A questa maturazione di intenti segue l’istituzione di un “TRIBUNALE INTERNAZIONALE PERMANENTE sui DIRITTI della NATURA e della MADRE TERRA ” a QUITO nel 2014 che cura appunto, a livello internazionale, la relazione tra “biodiversità” e controversia giuridica. Il “danno ambientale” è visto come conseguenza di un’azione non solo riscontrabile in un dato territorio, ma, in termini più ampi, come distruzione delle “biodiversità”. Nel 2016 la POLICY PAPER del Procuratore della Corte Penale Internazionale ha configurato la fattispecie di reato dell ‘ ECOCIDIO. Condizione a difesa della Natura, di carattere internazionale, che ogni Stato deve recepire. 
Il QUARTO RAPPORTO del SEGRETARIO GENERALE ONU su “HARMONY WITH NATURE” del 2013, vede gli “interessi umani” limitatati da quelli che sono i Diritti della Natura. La Natura, come bene della specie umana, dev’essere protetta da una giurisdizione universale. 
In ECUADOR, il TESTO COSTITUZIONALE del 2008, ha per primo dato vita ad un vero e proprio “DIRITTO COSTITUZIONALE della NATURA” riconoscendo il Diritto della Natura come ATTO che dà alla Natura piena sovranità costituente. Anche la BOLIVIA, nel 2009, su questa medesima linea. 
La COSTITUZIONE individua “limiti” che abbiano come obiettivo un’applicazione generale e preventiva (prima ancora, cioè, che insorga un qualsiasi contenzioso giuridico). L’ARMONIA tra le categorie di ORDINAMENTO ECOLOGICO ed ORDINAMENTO GIURIDICO, in Costituzione, può, così, condurre solo a processi umani compatibili con la Natura. 
La COSTITUZIONE dell’ ECUADOR e la LEGGE BOLIVIANA sulla MADRE TERRA definiscono SOGGETTO la NATURA, gli “ecosistemi” e le “biodiversità, come fondamento della vita stessa, sono di ineteresse generale e, a tale condizione, si giunge attraverso una condivisione di doveri da parte di tutti gli individui. 
Tutti gli ordinamenti giuridici, siano quelli interni agli Stati, siano quelli sovranazionali o internazionali devono avere a fondamento il c.d. ” mandato ecologico ” di cui non si può disporre e su cui non si può negoziare, ogni individuo ne può richiedere l’obbligo di rispetto totale. L’attenzione alla Natura da parte degli ordinamenti non si manifesta più in riferimento al solo “danno ambientale” e, quindi, secondo il valore di uso o di scambio che la Natura ha rispetto all’uomo, ma in riferimento alla Natura come soggetto unico e di base che contiene tutti i “beni” tutelati dalla stessa Costituzione. 
La COSTITUZIONE ITALIANA del 1948, figlia del NOVECENTO, non presenta sostanziali riferimenti all’ ambiente. L’Art. 44 riporta alle risorse naturali e relativo sfruttamento. Il citato “paesaggio” di cui all’ Art.9, non riesce, nonostante la “tutela” da parte dello Stato, pur riguardante territorio ed ambiente, ad andare oltre un impianto che rimane all’ interno di una scelta fra le opportunità di “uso” e “destinazione”. Grazie a questa norma costituzionale, comunque, nel 1986 fu possibile istituire il MINISTERO dell’Ambiente, attualmente MINISTERO dell’AMBIENTE e della TUTELA del TERRITORIO e del MARE. 
L’Art.32 tutela la SALUTE “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e questo anche in riferimento alla salubrità dell’ambiente. Ancora una volta l’ambiente, come diritto oggettivo di un bene, è in funzione del benessere dell’individuo e della collettività in generale. 
Alla Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, al di là delle contraddizioni e polemiche a cui essa ha portato, si deve riconoscere l’inserimento, all’interno della stesa Costituzione, delle parole “ambiente” ed “ecosistema” di cui l’Art.117. È evidente, però, che ancora manchi una definizione inequivocabile dell’AMBIENTE e, di conseguenza, una precisa collocazione tra i “valori” costituzionalmente tutelati. 
“Ambiente” ed “Ecosistema” non vanno poi intesi come BIOSFERA, secondo la nozione utilizzata nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972, ma,semplicemente e limitatamente, alla parte riguardante il territorio nazionale. A questa visione miope si può aggiungere il dettato della Riforma del Titolo V che vede la competenza legislativa esclusiva dello Stato da una parte e la concorrenza di Stato e Regioni dall’altra, le sole Regioni, poi, possono autonomamente legiferare nelle materie competenti residuali. 
Sebbene le premesse siano già buone, costituzionalizzare la Natura, secondo l’idea di attribuirle una più marcata personalità giuridica, diventa fondamentale dinanzi ad un ancora così debole e poco chiaro approccio legislativo. 
Accordi economici, tutela degli investitori privati, posizioni di forza da parte di un “certo” Stato, a completa mortificazione della partecipazione dei cittadini rispetto a posizioni di contrasto, non sarebbero più a vantaggio di politiche predatorie e criminali capaci di ridimensionare la portata delle “garanzie” costituzionalmente previste. 
L’auspicio è che l’avanzamento del diritto nei confronti della NATURA avvenga quanto prima, MADRE TERRA non può più aspettare, ciò, ovviamente, non solo all’interno di ogni singolo Stato, ma a tutti i livelli del diritto, internazionale e sovranazionale. 
La Natura non ha confini e l’uomo, ovunque si trovi, non è che una sua piccola espressione a cui, però, troppi privilegi sono stati attribuiti sino ad ora da una dissennata e suicidaria cultura antropocentrica.